Collegato ad altre analoghe realtà e, in primo luogo, alla Associazione Amici di Cesare Brandi, l’Archivio funziona come centro informativo specializzato nel restauro dei Beni Culturali.
Al momento esso può contare sulla Biblioteca del prof. Giuseppe Basile, costituita da circa 930 volumi tra pubblicazioni specialistiche e didattiche nel campo, in italiano e anche in lingua straniera.
da News-Art 11 agosto 2013 di Tommaso Strinati
Il 31 luglio scorso è venuto a mancare Giuseppe Basile, fine storico dell’arte, funzionario dello stato, dirigente dell’Istituto Centrale del Restauro (oggi ISCR) per oltre trent’anni. Giuseppe Basile aveva 71 anni e per tutti (amici, colleghi, collaboratori, etc.) era Pippo, un soprannome tipico del galantuomo siciliano quale era e qual è stato per tutta la vita.
La carriera di Basile è stata straordinaria e ricchissima, quella che oggi qualsiasi giovane e ambizioso storico dell’arte desidererebbe fare, al servizio delle Istituzioni e dello Stato in primo luogo. In questo paese, dove ormai studiare l’arte antica, la conservazione, il restauro, è tornato ad essere poco più che un passatempo per ragazze di buona famiglia, l’esempio di Pippo Basile potrebbe da solo smuovere gli animi e le passioni di chi crede ancora nel valore e nella salvaguardia del nostro patrimonio.
Laureato in storia dell’arte all’Università di Palermo con quello che sarà per tutta la vita suo mentore e guida, Cesare Brandi, Basile entra per concorso nelle fila dell’Istituto Centrale per il Restauro (oggi Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) nel 1976, diventando nel 1987 direttore dello strategico Servizio per gli interventi sui beni artistici e storici, in pratica il braccio armato della celebre istituzione fondata da Brandi e Argan nel 1939.
Da tale postazione di assoluto prestigio e forza operativa, Basile, senza altre mire per la sua carriera che l’operare con passione in difesa dei beni culturali di questo paese, si rese protagonista d’imprese memorabili, e basti ricordare quella più celebre: la ricomposizione delle vele della Volta dei Dottori nella Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, crollata nelle violente scosse del sisma in Umbria del 1997.
Pippo, com’è ben noto, si oppose alla rimozione con le ruspe di ciò che rimaneva degli affreschi di Giotto e della sua bottega nella montagna di macerie che, oltre a deturpare la basilica, la mattina del 26 settembre 1997 uccisero anche due tecnici della soprintendenza e due frati del Sacro Convento.
Da questa decisione prese avvio l’avventura del cosiddetto Cantiere dell’Utopia, una straordinaria e innovativa pagina della storia del restauro mondiale che portò in alcuni anni di lavoro a ricollocare in situ qualcosa come 80.000 frammenti recuperati, sui circa 300.000 catalogati, anche delle più piccole e infinitesimali dimensioni.
Pippo, in questa esperienza che rimarrà per sempre negli annali della storia dell’arte italiana, fece tesoro di una tecnica a suo tempo inventata da Brandi per una vicenda analoga: la ricomposizione dei frammenti di pittura murale di Lorenzo da Viterbo nella Cappella Mazzatosta in Santa Maria della Verità a Viterbo, danneggiata da un’esplosione durante la seconda guerra mondiale. Brandi catalogò i pezzi di affresco caduti in terra da causa dell’onda d’urto della bomba, rilevando addirittura sul pavimento il punto di caduta dei frammenti; successivamente li ricollocò su un supporto creato all’occorrenza, dove fu proiettata per tutta la durata del lavoro una fotografia a grandezza naturale dei dipinti stessi per facilitare l’opera di ricostruzione dei restauratori.
Il geniale puzzle inventato da Brandi (una sorta di millimetrica anastilosi) fu alla base del modus operandi del Cantiere dell’Utopia, che più di tutti segnò la carriera professionale di Pippo Basile.
Ma Assisi non fu certamente l’unico impegno di Pippo, rispetto al quale è doveroso ricordare che Giotto – e in generale la pittura del XIV secolo – fu nel suo cuore come un figlio prediletto, nei confronti del quale non si smette di provare amore per un solo minuto. Basti ricordare il cantiere della cappella degli Scrovegni a Padova, terminato nella primavera del 2002, dove Basile ebbe modo di ridare luce al ciclo più celebre di Giotto e di mettere per sempre in sicurezza la cappella con un avveniristico sistema di controllo dell’umidità (il cosiddetto corpo tecnologico attrezzato, una sorta di cabina di compensazione dell’umidità dove i turisti stazionano alcuni minuti prima di entrare nel monumento) che ancora oggi svolge egregiamente la sua funzione.
Tanti potrebbero essere gli interventi da ricordare nella lunga carriera di Pippo Basile, dal Cavallo in bronzo della sede Rai di Roma fino all’alta sorveglianza sulla conservazione del Cenacolo di Leonardo a Milano, dall’impegno come docente di Storia del Restauro alla “Sapienza” di Roma alla tenacia nel tenere alta con mille iniziative la memoria di Cesare Brandi e della sua Teoria del Restauro, tradotta in decine di lingue: ma lasciamo questo compito ai coccodrilli istituzionali.
Pippo l’ho conosciuto nel 2000 a Roma, ai tempi in cui frequentavo la scuola di specializzazione in storia dell’arte alla “Sapienza”. Da allievo avevo, come molti altri, una sorta di timore reverenziale verso quest’uomo esile e segaligno, con folta barba bianca che gli dava sempre quei dieci anni in più rispetto alla sua vera età anagrafica. L’ho rivisto dopo tanti anni a Palermo, provato dalla malattia ma noncurante di essa, anzi, infastidito che lo si trattasse con l’accondiscendenza che si riserva alle persone indebolite da un male incurabile.
Gli avevo proposto di prestare la sua preziosissima e insostituibile competenza per realizzare un film su Cesare Brandi con i miei allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia, che proprio a Palermo ha una sede distaccata che si occupa della formazione nel settore del documentario. Accettò con entusiasmo, Pippo, con l’energia che si ha a vent’anni quando si danno i primi esami all’Università e si vede di fronte a noi un futuro immenso, luminoso.
Questo era Pippo: sotto la barba bianca, sotto la giacca e la cravatta istituzionale, dietro al carattere non facile, c’era il ragazzo di vent’anni che ascoltava attento e ammirato le lezioni di Brandi a Palermo, il ragazzo di vent’anni che ha saputo trasformare quel primo amore in una missione coerente e solida per tutta la vita. Come ha giustamente detto Enzo Bilardello durante la commemorazione in Santa Maria in Trastevere, il primo agosto scorso, “… credo che qualcuno della nuova generazione di allievi considererà Basile come noi studenti degli anni ’60 del Novecento abbiamo ricevuto Brandi, un maestro da portare nel cuore e nel cervello per sempre… ”. Ci mancherai, Pippo.
Tommaso Strinati, Roma, 11 agosto 2013